Fideiussione
Il sovra-indebitamento di molti italiani è legato spesso a fideiussioni prestate a favore di società commerciali proprie o di parenti e amici.
Molti sono, infatti, i casi di genitori che hanno prestato fideiussioni in favore di imprese dei figli o di mogli nei confronti dell’azienda del marito di soci o amministratori di società per ottenere l’apertura di fidi, finanziamenti e mutui.
Sgombriamo subito il campo da eventuali dubbi e precisiamo che, se tali situazioni generano dei debiti che diventano insostenibili per il fideiussore questi, nella maggior parte dei casi, rientrano tra quelli oggetto del procedimento di composizione della crisi ex legge 3/2012.
Piano familiare
La Legge 3/2012 indica quale soggetto legittimato a presentare ricorso per la composizione della crisi da sovraindebitamento il “debitore” e, in assenza di alcuna specificazione circa la sua individuazione, sembra che questo sia solo la persona fisica.
La giurisprudenza di merito, però, occupatasi della questione, si è mostrata favorevole alla possibilità di presentare un ricorso congiunto da parte dei membri di una famiglia in presenza di determinati presupposti.
Da ciò ne deriva che il presupposto soggettivo per l’ammissione alla procedura deve essere inteso in senso ampio, fino a comprendere congiuntamente i componenti della famiglia che versino in stato di sovraindebitamento.
Interessante, in questo senso, la sentenza dell’1.04.2019 del Tribunale di Napoli che ha statuito che i coniugi possono accedere ad una procedura congiunta di piano del consumatore se:
– rientrano nello stesso nucleo famigliare
– sono in regime di comunione dei beni
– entrambi hanno messo a disposizione le proprie masse attive e passive che, pur restando distinte, formano un progetto unitario di risoluzione della crisi da sovraindebitamento familiare.
Il Tribunale partenopeo, invero, nell’occasione ha statuito che – seppure l’ipotesi della proposta congiunta da parte di entrambi i coniugi non sia normativamente prevista – la stessa non deve ritenersi per tale motivo inammissibile.
Il Giudicante ha, infatti, precisato che il legislatore ha previsto questa ipotesi nella Legge delega Rudolf, che ha trovato attuazione nell’art. 66 del D.Lgs. 14/2019 il quale, sia pure non ancora entrato in vigore, può essere già utilizzato come criterio interpretativo nel caso dallo stesso esaminato anche alla luce della generale ratio della normativa sul sovraindebitamento e stante l’analogia con quanto previsto e disciplinato ex art. 66.
Ecco quindi che, in virtù di tale sentenza e di altre nel solco di questo orientamento, sarà possibile presentare un piano che consenta a tutti i componenti della famiglia di giovarsi dei benefici previsti dalla Legge 3/2012, sul presupposto che la soluzione della crisi non può essere assicurata dal ricorso di un solo coniuge soprattutto qualora il ceto creditorio sia composto da titolari di pretese riguardanti entrambi i componenti della famiglia (es. mutuo cointestato o garantito da uno dei coniugi).
Durata piano del consumatore
La questione della durata del piano è particolarmente delicata e controversa in quanto la Legge 3/2012 non prevede espressamente un termine massimo finale di durata della fase esecutiva del piano del consumatore (e, più in generale, degli accordi di composizione della crisi).
Sul punto si sono formati due orientamenti giurisprudenziali.
Il primo ha negato l’ammissibilità di piani “lunghi”, ad esempio della durata di 8, 12, 15 o 40 anni in virtù del generale principio della ragionevole durata delle procedure giudiziarie (in questo senso, ad esempio, il Tribunale di Pistoia, decreto 28.02.2014, il Tribunale di Ravenna, decreto 10.03.2017, il Tribunale di Monza, decreto 02.04.2014, il Tribunale di Pisa, decreto 05.07.2017).
Il secondo, orientamento, invece, ammette procedure di sovraindebitamento di durata anche assai rilevante – con dilazioni anche di 20, 25 o 30 anni – dando rilievo al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti del consumatore sovraindebitato (in questo senso, Tribunale di Catania, decreti del 27.04.2016, del 17.05.2016, del 24.05.2016, del 12.07.2016, del 15.09.2016, Tribunale di Napoli decreto 28.10.2015 e decreto 18.02.2017).
Nel solco di tale ultimo orientamento rileva la sentenza n. 27544 del 28.10.2019 pronunciata dalla Corte di Cassazione, che ammette accordi di ristrutturazione dei debiti e piani del consumatore con una moratoria anche molto più lunga dei cinque o sette anni prevista dalla Legge Pinto con riferimento alla responsabilità dello Stato per l’eccessiva durata dei procedimenti.
Ciò, in quanto, a detta degli Ermellini, non si può escludere a priori che gli interessi del creditore risultino meglio tutelati con un piano del consumatore che preveda una dilazione di significativa durata piuttosto che per mezzo della vendita forzata dei beni del patrimonio del debitore.
Aderendo a tale interpretazione viene, pertanto, valorizzato il principio di origine comunitaria della “second chance” che trova oggi enunciazione positiva nel regolamento europeo sulle procedure d’insolvenza e volto a garantire una seconda opportunità a tutti coloro che si distinguano per meritevolezza e non abbiano causato il proprio dissesto economico in mala fede o con frode.
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